Per una volta ho evitato i minimalisti-cool finti ristoranti giapponesi gestiti da cinesi o la finta osteria d'altri tempi che ti mette una tovaglia a quadri e fa pagare un piatto di pasta e fagioli quanto un misto di crudità al porto di Cannes e ho deciso di addentrarmi in una classica pizzeria d'una volta.
Le tovaglie sono rigorosamente in tinta unita (quelle a quadri fanno molto osteria d'altri tempi) e i camerieri si muovono tra un tavolo e l'altro ad un ritmo forsennato; le bevande più gettonate sono due: la birra annacquata e un pessimo vino bianco della casa nella caraffa da mezzo litro.
Inutile dire che questo è il regno di fritti misti, spaghetti al cartoccio, pizze e il profiterol a fine pasto (il non plus ultra, però, sarebbero state le penne alla vodka).
Nessuna musica di sottofondo, sarebbe inutile visto il fastidioso vocio, sulla destra una donna indossa più pizzi di una vetrina della yamamay, dietro a lei una sciura dai capelli bianchi con riflessi violacei e la collana di perle; un tizio con crocefisso al collo mostra alla sua compagna (probabilmente una zoccola dell'est con almeno 20 anni in meno di lui) quanto sia bravo nel far rimanere il bicchiere attaccato al palmo della sua mano (credo per esercitarsi a fare il parlamentare) e le tre Sex and the City della brianza alla mia sinistra escogitano come "accoppiare" il fratello di una di loro con un'amica comune.
Per un po' ho creduto di essere tornato indietro nel tempo, per un attimo ho pensato che il giorno dopo, accendendo la televisione, avrei visto Robert Plant presentare il suo ultimo album...
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