Ieri ho segnalato, tramite twitter, questo articolo del New Yorker, dove si sostiene che "la rivoluzione non verrà twittata".
Due grandi blogger, Anil Dash e Dave Pell, hanno già commentato l'articolo, quindi un piccolo blogger come me non poteva essere da meno.
Il concetto principale sono i "weak ties" (legami deboli) su cui sono costruiti i social network, legami deboli che non permetterebbero l'organizzazione di azioni di rivolta come quella citata all'inizio dell'articolo del New Yorker.
Dal canto mio, i legami che ho in Facebook sono forti, talmente forti che praticamente Facebook non lo uso quasi mai perché i miei amici di Facebook sono amici anche nel mondo reale e mi bastano i contatti che ho con loro nel mondo "offline". Ho un carissimo amico negli USA, ma Gtalk e Skype mi fanno sentire vicino a lui più di Facebook.
Gli amici che ho su Twitter (anche se amici non è la definizione corretta) sono quelli che si potrebbero considerare legami deboli, persone che non conosco nella realtà, che non ho mai visto, ma che considero interessanti e quindi li seguo perché mi fa piacere sapere quello che fanno e, soprattutto, quello che dicono e pensano.
Ma è proprio Twitter, quello dove ho i legami deboli, che sta diventando sempre di più la mia fonte d'infomazioni, news, idee e punti di vista.
Non credo che organizzerò mai la rivoluzione tramite twitter, ma, se un giorno dovessi proprio organizzarla, l'incazzatura che mi ha fatto venire la voglia di farla probabilmente l'avrò appresa tramite Twitter.
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