mercoledì 7 luglio 2010

Pubblicità fastidiosa

Se mi chiedete quali spot pubblicitari sono stati mandati in onda tra il primo e il secondo tempo di Olanda-Uruguay non me lo ricordo, nonostante non abbia cambiato canale e mi sia alzato solo per prendere una birra dal frigorifero. 

Se mi chiedete qual era la pubblicità sull'ultima pagina del Corriere di oggi o quali cartelloni pubblicitari sono esposti vicino a dove parcheggio l'auto tutte le mattine non lo so. 

Però so, per esempio, che adesso come testimonial della Yamamay  c'è una bionda e che il giorno in cui Repubblica.it ha cambiato home page la fastidiosa pubblicità che occupava tutta la pagina era della Vodafone; insomma: gnocca e fastidio fanno sempre il loro sporco lavoro.

Che effetto mi fa la gnocca della Yamamay? Che se entro in un negozio per regalare un completino intimo - io per ora non li indosso - e la commessa mi propone un prodotto di quella marca, sono propenso a comprarlo.

Che effetto mi ha fatto la pubblicità della Vodafone? Ero invogliato a cambiare numero.

Ma se invece di Vodafone, la pubblicità fastidiosa l'avesse fatta una nuova compagnia telefonica,una nuova compagnia di assicurazioni,una nuova banca on-line o qualsiasi altro "brand" meno conosciuto, forse quel fastidio sarebbe servito per conoscere una nuovo prodotto e, magari, acquistarlo.

Questo non è un delirio ispirato dal caldo di questi giorni ma un post che mi è stato ispirato da questo articolo di DElyMyth dove in conclusione afferma:
Scegliete: o vi sorbite la pubblicita' (e magari clickate sui banner e comprate i prodotti), oppure vi beccate i paywall.
Non credo gli editori possano fare una scelta tra il propinarci i banner pubblicitari o il fornire i contenuti a pagamento, se da parecchio tempo si interrogano su quale possa essere il miglior metodo per finanziarsi vuol dire che le pubblicità (banner, link a pagamento e splash screen) non sono poi così redditizie, questo perché, probabilmente, da parte degli inserzionisti non è stato capito il vero potenziale della rete e che il consumatore moderno non lo si abbindola con un "più bianco non si può".

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