giovedì 28 ottobre 2010

Fanculo al personal branding

Nell'oramai lontano 1992, non avendo nulla da fare (cosa intrinseca nell'essere disoccupato), risposi ad un annuncio di lavoro rivolto a programmatori di linguaggio C con la consapevolezza di non avere le competenze richieste (adesso si chiamano skill); era un periodo di crisi (già sentita questa) e bisognava tentarle tutte.

Adesso non mi permeterrei mai di rispondere ad un annuncio di lavoro senza avere gli skill richiesti (una volta si chiamavano competenze), non lo farei perché ho paura, gli annunci di lavoro di adesso sembrano più minacce che ricerche di lavoro, hanno lo stesso tono che avevano gli annunci sadomaso su Secondamano.

Torniamo al '92, quando c'era la crisi: avevo già pensato a tutto, la tattica che avrei usato al colloquio sarebbe stata a metà strada tra il "fatemi lavorare, vi prego, pulirò anche i cessi" e il "non sono bravo ma m'impegno".

Il giorno dell'appuntamento scopro che non c'è nessun colloquio da fare, io e un'altra decina di persone veniamo chiusi in una sala, ci vengono consegnati dei fogli bianchi, una biro e un foglio con le indicazioni: dovevamo fare un vero e proprio compito, bisognava scrivere (sì, scrivere con la biro) un programma che rispettasse le specifiche richieste, chi produceva il risultato migliore veniva assunto.
No gli interessava il sesso, l'età, il colore della pelle, come parlavamo, come eravamo vestiti, niente di tutto ciò, volevano una persona (adesso lo chiamerebbero soggetto) che sapesse programmare.

Questa storiella - vera - è il mio modo per dire: fanculo al personal branding!

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